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Che cos’è la pseudoscienza?

I negazionisti del clima sono accusati di praticare la pseudoscienza, così come i creazionisti del disegno intelligente, gli astrologi, gli UFOlogi, i parapsicologi, i praticanti di medicina alternativa, e spesso chiunque si allontani dal mainstream scientifico. Il problema del confine tra scienza e pseudoscienza, infatti, è notoriamente irto di disaccordi definitori perché le categorie sono troppo ampie e confuse ai margini, e il termine “pseudoscienza” è soggetto all’abuso aggettivale contro qualsiasi affermazione che non piace per nessun motivo. Nel suo libro del 2010 Nonsense on Stilts (University of Chicago Press), il filosofo della scienza Massimo Pigliucci ammette che non c’è “nessuna cartina di tornasole”, perché “i confini che separano scienza, non scienza e pseudoscienza sono molto più sfumati e permeabili di quanto Popper (o, se è per questo, la maggior parte degli scienziati) vorrebbero farci credere.”

È stato Karl Popper a identificare per primo quello che chiamava “il problema della demarcazione”: trovare un criterio per distinguere tra la scienza empirica, come il successo della prova del 1919 della teoria della relatività generale di Einstein, e la pseudoscienza, come le teorie di Freud, i cui aderenti cercavano solo prove di conferma, ignorando i casi di disconferma. La teoria di Einstein avrebbe potuto essere falsificata se i dati delle eclissi solari non avessero mostrato la necessaria deviazione della luce delle stelle piegata dal campo gravitazionale del sole. Le teorie di Freud, tuttavia, non potrebbero mai essere confutate, perché non c’era alcuna ipotesi testabile aperta alla confutabilità. Il problema è che molte scienze non sono confutabili, come la teoria delle stringhe, le neuroscienze della coscienza, i grandi modelli economici e l’ipotesi degli extraterrestri. Su quest’ultima, a parte la ricerca di ogni pianeta intorno ad ogni stella in ogni galassia del cosmo, possiamo mai dire con certezza che gli extraterrestri non esistono?

Lo storico della scienza della Princeton University Michael D. Gordin aggiunge nel suo libro di prossima pubblicazione The Pseudoscience Wars (University of Chicago Press, 2012), “Nessuno nella storia del mondo si è mai autoidentificato come uno pseudoscienziato. Non c’è nessuna persona che si sveglia la mattina e pensa tra sé e sé: ‘Andrò nel mio pseudolaboratorio e farò alcuni pseudoesperimenti per cercare di confermare le mie pseudoteorie con pseudofatti'”. Come Gordin documenta con esempi dettagliati, “i singoli scienziati (distinti dalla monolitica ‘comunità scientifica’) designano una dottrina come ‘pseudoscienza’ solo quando percepiscono di essere minacciati – non necessariamente dalle nuove idee in sé, ma da ciò che quelle idee rappresentano circa l’autorità della scienza, l’accesso della scienza alle risorse, o qualche altra tendenza sociale più ampia. Se non ci si sente minacciati, non c’è bisogno di scagliarsi contro la pseudoscienza percepita; invece, si continua con il proprio lavoro e si ignorano felicemente i fanatici.”

Chiamo il creazionismo “pseudoscienza” non perché i suoi sostenitori stiano facendo cattiva scienza – non stanno affatto facendo scienza – ma perché minacciano l’educazione scientifica in America, violano il muro che separa la Chiesa e lo Stato, e confondono il pubblico sulla natura della teoria evolutiva e su come viene condotta la scienza.

Ecco, forse, un criterio pratico per risolvere il problema della demarcazione: la condotta degli scienziati come si riflette nell’utilità pragmatica di un’idea. Cioè, la nuova idea rivoluzionaria genera qualche interesse da parte degli scienziati che lavorano per l’adozione nei loro programmi di ricerca, produce qualche nuova linea di ricerca, porta a qualche nuova scoperta, o influenza qualche ipotesi, modello, paradigma o visione del mondo esistente? Se no, è probabile che si tratti di pseudoscienza.

Possiamo distinguere la scienza dalla pseudoscienza meno da ciò che la scienza è e più da ciò che gli scienziati fanno. La scienza è un insieme di metodi volti a testare ipotesi e costruire teorie. Se una comunità di scienziati adotta attivamente una nuova idea e se quell’idea si diffonde nel campo e viene incorporata in una ricerca che produce conoscenza utile riflessa in presentazioni, pubblicazioni e soprattutto nuove linee di indagine e ricerca, è probabile che sia scienza.

Questo criterio di demarcazione dell’utilità ha il vantaggio di essere bottom-up invece che top-down, egalitario invece che elitario, non discriminatorio invece che pregiudiziale. Lasciamo che i consumatori di scienza nel mercato delle idee determinino ciò che costituisce buona scienza, iniziando dagli scienziati stessi e filtrando attraverso gli editori, gli educatori e i lettori. Per quanto riguarda i potenziali consumatori di pseudoscienza, è a questo che servono gli scettici, ma come sempre, caveat emptor.

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