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Gladiator

Dopo essere fuggito e aver scoperto che sua moglie e suo figlio sono stati assassinati, Massimo trova la sua strada per i deserti del Nord Africa, dove viene venduto come schiavo a Proximo (il defunto Oliver Reed), un manager di gladiatori. Quando Commodo rimuove il divieto dei gladiatori a Roma imposto dal suo defunto padre, nel tentativo di distrarre il popolo dalla fame e dalle pestilenze, Massimo si fa strada verso la vetta, e il film si conclude, ovviamente, con il Grande Combattimento.

Questa stessa storia avrebbe potuto essere un intrattenimento entusiasmante; ho appena rivisto il meraviglioso “I Predatori dell’Arca Perduta”, che è altrettanto stupido ma 12 volte più divertente. Ma “Il Gladiatore” manca di gioia. Impiega la depressione come sostituto della personalità, e crede che se i personaggi sono abbastanza amari e morosi, non noteremo quanto sono noiosi.

Commodus (Joaquin Phoenix) è uno di quei viziati, autoindulgenti, petulanti imperatori romani resi famosi nell’era delle grandi epopee romane, che finirono con “Spartacus” (1960). Guardandolo nei suoi spasimi, ho ricordato il grande Nerone di Peter Ustinov in “Quo Vadis” (1951), che raccoglieva le sue lacrime per i posteri in piccole fiale di cristallo. Commodo ha vizi insoliti anche per un Cesare; vuole diventare l’amante di sua sorella maggiore Lucilla (Connie Nielsen), di cui sta crescendo il figlio come suo erede.

La spina dorsale morale della storia è facilmente padroneggiabile. Commodo vuole essere un dittatore, ma è osteggiato dal senato, guidato da Gracco (Derek Jacobi). I senatori vogliono che lui fornisca fogne per il quartiere greco della città, dove la peste imperversa, ma Commodo decide invece per una stagione di giochi. Proximo arriva con i suoi esperti gladiatori dall’Africa, che si dimostrano quasi invincibili e minacciano la popolarità dell’imperatore. La lezione morale: è un bene che i gladiatori massacrino tutti quelli che vedono, e poi passino il potere ai politici.

Le produzioni del Colosseo si svolgono come il wrestling professionale. Gli eventi sono messi in scena per ricreare battaglie famose, e dopo che i visitatori hanno spazzato via la squadra di casa, un Commodo perplesso dice al suo aiutante: “La mia storia è un po’ confusa, ma i barbari non dovrebbero perdere la battaglia di Cartagine? Più tardi, un annunciatore si rivolge letteralmente alla folla con queste parole: “Cesare è lieto di presentarvi l’unico campione imbattuto della storia romana: il leggendario Tito! Le sequenze di battaglia sono una pallida ombra dei giochi di spada lucidamente coreografati in “Rob Roy” (1995); invece di mosse che possiamo seguire e strategie che possiamo apprezzare, Scott va per primi piani confusi di eventi spaventosi ma indistinti. La folla applaude, anche se quelli nei posti più economici sono impossibili da vedere a causa dei torbidi effetti speciali.

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