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L’assassinio di Giulio Cesare, avvenuto in questo giorno del 44 a.C., noto come le Idi di marzo, avvenne a seguito di una cospirazione di ben 60 senatori romani. Guidati da Gaio Cassio Longino e Marco Giunio Bruto, pugnalarono mortalmente Cesare a Roma, vicino al Teatro di Pompeo.

Cesare era stato recentemente nominato “dittatore in perpetuo” della Repubblica Romana. Le tensioni in corso tra Cesare e il Senato, tra i timori che egli progettasse di rivendicare anche il titolo di re, rovesciare il Senato e governare come tiranno, furono i motivi principali del suo assassinio.

Anche le gelosie personali entrarono in gioco. Secondo un resoconto moderno di David Epstein, “la presenza di così tante animosità personali spiega perché la cospirazione non fu tradita nonostante le sue grandi dimensioni”. Ma le preoccupazioni dei senatori potrebbero essere state mal riposte: Svetonio, scrivendo quasi 150 anni dopo, riferì che, all’avvicinarsi del giorno fatidico, una folla gli gridò rex (“re”), a cui Cesare rispose: “Io sono Cesare, non rex.”

Cesare si stava preparando a invadere la Partia – una campagna poi intrapresa dal suo successore, Marco Antonio, senza risultati duraturi – e aveva programmato di lasciare Roma nella seconda metà di marzo per supervisionare l’attacco. Questo forzò la tabella di marcia dei cospiratori. Due giorni prima dell’assassinio, Cassio disse loro che, se qualcuno avesse scoperto il piano, avrebbero dovuto rivolgere i loro coltelli contro se stessi.

Caesar tentò di scappare dai suoi assalitori, ma, accecato dal sangue, inciampò e cadde; gli uomini continuarono a pugnalarlo – 23 volte. Svetonio racconta che un medico che eseguì un’autopsia stabilì che solo una ferita – la seconda al petto – era stata fatale. Il rapporto dell’autopsia – la prima autopsia conosciuta nella storia – descrive la morte di Cesare come attribuibile principalmente alla perdita di sangue dalle ferite. Due giorni dopo l’assassinio, Marco Antonio convocò il Senato e raggiunse un compromesso in base al quale gli assassini non sarebbero stati puniti, ma tutti gli incarichi di Cesare sarebbero rimasti validi. L’assassinio, tuttavia, avrebbe anche segnato la campana a morto della Repubblica romana; poco dopo, Roma precipitò in una guerra civile.

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